Estate, tempo per leggere.

Così ci si imbatte anche in questa espressione “il bambino di Dio” di Tat’jana Kasatkina, filosofa russa che scrive:

“L’umanità è il bambino di Dio, che Lui tratta con tenerezza e alleva su questa terra.”

Che bello sapere questo! Che bello averne coscienza. Essere di Dio, essere fatto di un rapporto d’amore. È vita.

Che bella questa nostra relazione con Dio!
Relazione che arriva da religo, che richiama un legame, ma anche da refero, che richiama l’attribuzione di senso.
Per capire chi siamo, dobbiamo fare riferimento ad un altro.

E poi vuol dire anche che ci muoviamo sempre nelle regioni della speranza. Uomo bambino di Dio e perciò creatura che ha impressa in sé l’immagine di Dio, inestirpabile, che nonostante tutto e sempre, permane e risplende.

In questo orizzonte Dio spera costantemente in noi. E sostiene la nostra speranza.

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La tenerezza è la forza dell’amore umile”, diceva il grande Dostoevskij.

Oggi forse abbiamo tutti bisogno di riscoprire un po’ di tenerezza, nel trattarci gli uni gli altri.

Tenerezza deriva dal verbo tendere: andare verso. Implica l’uscire dall’egoismo individuale per ascoltare il cuore che parla ad un altro cuore.

Tenerezza non è solo femminile; non va confusa con debolezza o sdolcinatezza.

È piuttosto il guardare gli altri senza giudicarli, il tendere la mano, fare una carezza: insomma è una virtù dei forti, di chi sceglie di vivere pienamente.

Alla ricerca della tenerezza perduta: in famiglia, a scuola, nelle nostre comunità.

La tenerezza è un po’ la grande assente oggi della società civile.

Occorre il recupero dell’incontro, della dimensione di un sentire condiviso.

Allora sì, la tenerezza spunterebbe ovunque.

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