Questo il titolo, tratto dal libro di Neemia (3, 38) che i vescovi italiani hanno scelto per il 1º Maggio, Festa del Lavoro.
Nel libro di Neemia si racconta l’impegno del popolo d’Israele per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme; popolo unito e caparbio nel voler terminare l’opera. Si sottolinea l’impegno di chi ce la mette tutta per far nascere qualcosa di nuovo.
I vescovi, nel messaggio, ci dicono che questo è segno di un lavoro generativo, che chiede responsabilità e capacità di uscire da se stessi per aprirsi all’altro nel segno di una vita segnata dall’amore.
A chi si mette in questa dinamica è chiesto di abitare la tensione tra la paura di perdere quello che si era o si deteneva e l’impegno verso nuovi stili di vita.
Chi ha incontrato Gesù lo sperimenta; il Signore è capace di tirare fuori dalla nostra vita “cose nuove e cose antiche”.
“È innegabile che la terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico, aggravando le disuguaglianze esistenti e creando nuove povertà.(…)
È fondamentale che tutte le reti di protezione siano attivate. Il vaccino sociale della pandemia è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi. (…) abbiamo sperimentato che siamo tutti legati e interdipendenti, chiamati a impegnarci per il bene comune, che è legato con la salvezza, con il nostro stesso destino personale.
(…) Una bussola per camminare è la Fratelli Tutti.
Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze.