In gita nella bergamasca, così colpita dal Coronavirus, leggiamo dalle pagine de L’Eco di Bergamo una riflessione del vescovo Francesco Beschi sul tema della carità. Alcuni stralci…
“La carità è il fare della fede, il fare del cuore.
In questi mesi di prova dolorosissima, a causa della violenza del contagio che ha colpito la nostra terra, abbiamo ancora una volta riconosciuto il fiorire della carità, dell’amore che assume infine declinazioni. (…)
E la carità non è stata né affermazione di sé, né semplicemente una risposta ai bisogni, quasi che, una volta corrisposto al bisogno, la carità diventi inutile. La carità provvede al bisogno, ma senza separarlo dalla persona che lo sta sperimentando.
È la persona umana e non solo il suo bisogno che ci sta a cuore: è la persona umana nella sua attesa e nella sua debolezza.”
La comunità cristiana – dentro alle sue contraddizioni – fin dai suoi inizi ha scritto una storia di carità , frutto della fede. Continuiamo a scriverla anche noi, anche dentro alla nostra comunità.
“La speranza dei poveri non sarà mai delusa” è il titolo del messaggio di Papa Francesco per la 3ª Giornata mondiale dei poveri, che la Chiesa ricorda domenica 17 novembre.
Con questo titolo, tratto dai Salmi, il Papa ci ricorda una verità profonda: la fede riesce ad imprimere nel cuore dei più poveri la speranza davanti alle ingiustizie, alle sofferenze e alla precarietà della vita.
E poi c’è il nostro aiuto, quando ad esempio distribuiamo loro il cibo, ma “ciò di cui i poveri hanno veramente bisogno va oltre il piatto caldo o il panino.
Essi hanno bisogno delle nostre mani per essere risollevati, dei nostri cuori per sentire di nuovo il calore dell’affetto, della nostra presenza per superare la solitudine.
Hanno bisogno di amore, semplicemente.
Per un giorno lasciamo stare le statistiche; i poveri non sono numeri cui appellarsi per vantare opere e progetti.
I poveri sono persone cui andare incontro.”
Per chi vuole leggere il testo integrale, lo trova qui.
Giovedì 9 maggio ha preso avvio, a Casa di Marta, il ciclo di incontri “Cammini di carità”, con un cineforum proposto a tutti, volontari e non.
Per la simpatia e vicinanza a Casa di Marta…vi aspettiamo ai prossimi giovedì!
Intanto, per chi si fosse perso …
Il film, “Le nevi del Kilimangiaro”, del 2011 del regista francese Guédiguian, prende a prestito il tema della perdita del lavoro per scavare nella vita di una coppia a cui crolla tutto: lui perde il lavoro, vengono derubati, sporgono denuncia e poi si tormentano per i sensi di colpa. Il ladro è infatti un ex collega del marito, licenziato anch’esso, cha fa fatica a tirare avanti e che si occupa dei due fratellini piccoli abbandonati dai genitori.
Quando tutto ci viene a mancare, quando perdiamo le nostre certezze e il mondo attorno ci sembra crollare, cosa fare?
Nutrire sentimenti di vendetta o perdonare?
Il film mostra a quali dilemmi ci troviamo di fronte quando ci doniamo, quando decidiamo di amare. Perché le buone intenzioni non salvano il cuore, non bastano.
Serve altro.
Il punto di svolta arriva con l’incontro con i due bambini, che diventano pungolo per la coscienza.
E quando sembra che tutto si risolva in uno smacco, ecco che il cuore si commuove e accade l’imprevedibile. Il regista mostra anche le reazioni di chi sta accanto a loro, dai figli che non condividono le scelte, agli amici che capiscono e cambiano sguardo anche loro.
Nel finale i due coniugi sono davvero felici, di quella felicità che la sola giustizia umana non può dare. Essi scoprono la gioia che si assapora quando l’altro diventa solo qualcuno da amare.
Si comincia a vivere dentro una prospettiva nuova.
Grazie a chi ha pensato questi “Cammini”. Ci fanno bene. Riprendendo una frase di Jaurés, il socialista francese a cui si ispirano i sindacalisti del film, possiamo dire che:
“Può esserci rivoluzione soltanto dove c’è coscienza”
Un gruppo di giovani amici, che già condivide l’esperienza del volontariato in Casa di Marta, risponde alla proposta di don Fabio per il giorno dopo il Santo Natale: andare a trovare i senzatetto in centro a Milano. Ecco il racconto di quanto hanno vissuto.
26 Dicembre 2018: a Milano, alle 21.30, in Piazza Duomo.
LA SCENA
Fa freddo, la piazza è quasi vuota, i pochi passanti camminano svelti, desiderosi solo tornare di casa a scaldarsi. Uniche fonti di luce e di vita le vetrine. E noi subito colpiti da un forte contrasto: vetrine dei negozi addobbate a festa e davanti i senzatetto che sistemano le loro coperte per la notte.
L’AZIONE
Siamo qui questa sera per incontrare i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, che assiste i senza dimora. Con 5 zaini, 4 panettoni e 41 pacchetti di biscotti da donare, ci dirigiamo al punto d’incontro. Siamo convinti che con quel che portiamo, beh, “possiamo considerarci dei bravi ragazzi.”
Ed ecco la sorpresa: in Corso Vittorio Emanuele II, chiunque non scommetterebbe due centesimi su quel piccolo gruppo di volontari, venti persone al massimo, con solamente un tavolo per mangiare e una chitarra per cantare, decisi a condividere il proprio Natale con chi il Natale l’ha festeggiato solo con se stesso. Le uniche cose che hanno da offrire: una tazza di tè, una fetta di panettone, una coperta e, soprattutto, un po’ di compagnia. Con loro, divisi in gruppi, andiamo verso i senzatetto per chiedere loro se vogliono unirsi a noi. Chi risponde di si, chi dice di no. In alcuni la rassegnazione è tale da reagire con ostilità anche ai più piccoli gesti di aiuto o vicinanza…
Altri ci accolgono con simpatia, grati per il semplice fatto di aver visto qualcuno che porta interesse per loro. Molti dei senza dimora hanno voglia di raccontare la loro storia, quello che hanno fatto nella vita precedente, il lavoro che facevano, la famiglia, ecc. Ci parlano di come vivono ora e della solidarietà e dell’amicizia che li lega: “oggi tu aiuti me, io domani aiuto te”.
LA SCOPERTA
Essere consapevoli di vivere una condizione umana debole e svantaggiata non significa povertà culturale: in molti c’è intelligenza e voglia di pensare in modo positivo al futuro. La miseria che vivono non li porta ad accontentarsi di sopravvivere, ma li spinge a vivere con dignità la loro condizione.
Ci accorgiamo di tutto questo grazie ai volontari della Comunità Giovanni Paolo II che ci accompagnano. Si fanno chiamare unità di strada, ogni settimana girano per il centro, cercano i senzatetto per farsi presenti nelle vite di chi dorme sotto i portici, dietro le colonne, o sopra gli impianti di areazione della metro.
Il freddo dell’inverno milanese si fa sentire e al di là delle storie di ognuno, adesso queste persone hanno una cosa in comune: hanno freddo.
Mai avremmo pensato di riuscire a fare festa così, di chiedere a ciascuno di loro di entrare nella festa, perché fossero loro a fare grande la nostra festa.
Quanti volti, quante storie, un’immagine ci torna in mente, tra tante: un senzatetto che vicino alle sue coperte aveva sistemato un alberello di Natale con a fianco un biglietto con la scritta Tanti auguri.
“Mi è venuto in mente che devo impegnarmi di più nello studio perché non tutti hanno le nostre possibilità, che devo apprezzare di più la mia famiglia e i miei amici, perché sono doni davvero grandi” dice uno di noi sulla strada verso casa.
La festa del Trasporto e l’ottobre mese missionario fanno nascere in un gruppo di fedeli della Comunità Pastorale la voglia di proporre una mostra sul tema della Carità.
Ecco la genesi di “Lo facciamo per Gesù” , mostra fotografica sulla figura di Madre Teresa di Calcutta.
I pannelli, disposti a diverse altezze, portano il visitatore a muoversi, quindi a compiere un’azione.
E l’invito finale è proprio un tocca a noi, tocca a me, a te, a ciascuno, a fare qualcosa oggi.
A partire da un’appartenenza, quella a Gesù. É il verbo appartenere che spicca in giallo da uno dei pannelli: per essere le persone più felici al mondo dobbiamo appartenere a Gesù.
La mostra resta aperta fino al 29 ottobre, pressola Chiesa Prepositurale SS. Pietro e Paolo, tutti i giorni negli orari di apertura della chiesa.
Questo potrebbe essere il sottotitolo della due giorni che un gruppo di famiglie della nostra comunità, guidato da don Fabio, ha trascorso a Campodolcino (SO). Alla scoperta di un santo, don Guanella che diceva: “I poveri sono innanzitutto da amare” e che “Il cuore dell’uomo ha bisogno di benevolenza, come lo stomaco di cibo”.
Non basta fare del bene o tentare di fare azioni benefiche, occorre che il bene sia fatto bene.
Tanti i momenti di condivisione semplice, dalla messa, alla passeggiata tra i boschi, dalla visita alla casa natale del santo ai giochi e ai pranzi insieme.
Lunedì scorso, 26 febbraio, i ragazzi del catechismo di 1ª media hanno visitato la Casa di Marta, accompagnati da Don Federico, Sr. Donata e le catechiste.
Hanno ascoltato il racconto sullo spirito che anima la Casa di Marta e le sue finalità, a partire dal nome:
“Casa” perché la casa è il luogo dell’accoglienza, della sicurezza, dello spazio umano, dove ritrovare se stessi e il senso della propria vita
“Marta” come Marta di Betania, che nel Vangelo è simbolo di gratuità e servizio.
Hanno approfondito il significato di carità: essa non è solo un gesto di gentilezza, come può essere la solidarietà (un dare ad es. qualcosa di materiale), ma presuppone anche uno sguardo di amore.
Un gesto di carità lo si compie solo donando anche un sentimento incondizionato di amicizia e amore.
“La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.” (San Paolo, Corinzi 13,1-13)
Durante la visita i ragazzi hanno visto le molte realtà che ogni giorno offrono un aiuto alle persone bisognose: la mensa dei poveri (che funziona grazie all’Associazione Amici di Betania), il servizio docce, gli alloggi di emergenza, i magazzini per la distribuzione di vestiti e infine l’Emporio della Solidarietà (aperto lo scorso ottobre) che sostiene circa 40 famiglie.
Vedere con i propri occhi è un grande stimolo e ci si augura che possa essere anche uno slancio per questi ragazziper scoprire, crescendo, la voglia di mettersi in gioco personalmente e poter così sperimentare la gioia che si riceve donando.