Domani, 3 ottobre e fino al 28, si apre a Roma il Sinodo dei giovani. Per riflettere un po’ proponiamo un articolo, pubblicato nel cuore dell’estate (22 agosto 2018) su Avvenire, a firma di Elena Marta, professore ordinario di Psicologia sociale e di Comunità della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica. Forse alcuni l’avranno perso. È l’occasione per interrogarsi a partire dal titolo:

L’affettività dei giovani è senza un progetto?

La formazione e lo sviluppo di una relazione di coppia rappresenta uno dei principali compiti evolutivi dei giovani ed è considerato un importante marcatore del passaggio alla vita adulta.

È sotto gli occhi di tutti come i cambiamenti sociali e antropologici in atto nella nostra società – proiezione sul presente, assenza di modelli di riferimento, diffusione di doppia moralità, rinuncia all’assunzione di responsabilità e sfiducia nei confronti dell’altro – rendano difficile, per i Millennials, costruire una relazione di coppia stabile. Tutte le ricerche psico-sociali su questo tema confermano che questa generazione è caratterizzata da instabilità relazionale, posticipazione del matrimonio e difficoltà a impegnarsi in un legame affettivo.

Tre possono essere le ragioni di questo modo di vivere la sfera affettivo-sentimentale.

1. La prima è la persistenza del ‘paradigma della sperimentazione’, ossia la convinzione di potere – che però è diventato quasi paradossalmente un dovere – conservare un ampio margine di reversibilità nella costruzione della propria biografia prima di giungere alla stabilità. Questo continuo sperimentare è determinato non solo dal desiderio di esser certi di aver scelto il/la partner ‘giusto/a’, ma soprattutto da un orientamento valoriale improntato all’autorealizzazione: come gli altri ambiti della vita – ad es. il lavoro – anche la relazione di coppia è posta al servizio della ricerca di uno spazio di espansione e conferma del sé personale a discapito del sé sociale e delle relazioni. In nome di questo, si ‘saggiano’ diverse relazioni finché non si trova quella che può sostenere la propria auto-realizzazione e il ripiegamento narcisistico, o finché non ci si apre a un incontro autentico con l’altro e a una relazione fatta di cura reciproca, lealtà, impegno. Il contesto culturale in cui viviamo, enfatizzando il diritto dell’individuo alla realizzazione dei suoi bisogni e valorizzando la contingenza del legame, rende difficile per i giovani articolare le esigenze del sé con quelle della coppia.

2. La seconda ragione è legata al modo con cui i giovani oggi affrontano la vita: l’importante è ‘fare esperienze’. Tante, emotivamente molto coinvolgenti e da rendere visibili immediatamente sui social. Anche la relazione di coppia non sfugge a questa logica e diviene il luogo della ricerca di ‘emozioni forti’, volte a confermare l’immagine di sé costruita nel processo di auto-realizzazione. Se la relazione di coppia incrina questa immagine, se richiede troppo impegno, troppa fatica e responsabilità, se non è funzionale al gioco narcisistico dei partner, viene abbandonata e sciolta. Focalizzato/a sulla propria autorealizzazione, nella relazione di coppia ciascun partner tende a chiedere molto all’altro/a, soprattutto in termini di intensità emotiva e condivisione del proprio progetto di vita, ma è poco propenso a costruire pazientemente un ‘noi’ e un progetto comune. Si creano, così, legami fragili, investiti da elevate aspettative – e sappiamo che quando le aspettative sono elevate sono più facilmente soggette a delusioni – e centrati sugli aspetti affettivo-espressivi a scapito di quelli etici, centrati sull’impegno e la lealtà.

3. Infine, la relazione di coppia viene vissuta come un fatto privato, personale, svincolato da appartenenze e significati sociali e familiari. Essa è divenuta sempre più autoreferenziale e sganciata da vincoli istituzionali, da patti sociali e da storie familiari intergenerazionali.

Tutto questo ha delle conseguenze evidenti su cui è avviare una seria riflessione. L’importanza attribuita alla ricerca di emozioni forti e alla soddisfazione dei propri bisogni narcisistici ha come esito la presenza, anche in Italia, di alcune pratiche sorte e diffusesi nei Paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti.

Mi riferisco a quelle che la letteratura scientifica ha classificato come ‘relazioni ed esperienze sessuali casuali’, ossia un vasto insieme di comportamenti ed esperienze sessuali che non prevedono necessariamente l’instaurarsi di legami sentimentali o di impegno nella relazione. Rientrano in questa classificazione i fenomeni dell’hooking up, letteralmente ‘aggancio’, e dell’one-night stand , ossia rapporti di una sola notte, che consistono nell’avere rapporti sessuali senza stabilire alcuna forma di relazione sentimentale, ma anche il fenomeno definito friends with benefits, che fa riferimento allo svilupparsi di rapporti amicali che prevedono anche occasionali rapporti sessuali, senza l’instaurarsi di legami sentimentali.

Le ricerche dei colleghi americani su questi temi mettono in evidenza come i giovani coinvolti in queste esperienze sperimentino, da una parte, sensazioni di piacevolezza ed eccitazione accompagnate da aumento di autostima ma, dall’altra parte, anche sentimenti di vergogna, senso di colpa, sensazione di essere usati e ansia.

In una recente e accurata review sul tema, Lanz e colleghi hanno mostrato quanto il panorama delle relazioni affettive dei giovani sia complesso e composito. Se da una parte vi sono giovani che vivono le esperienze casuali su cui ci siamo soffermati poco fa, dall’altra parte vi sono giovani che danno vita a relazioni significative. Tuttavia, dar vita a una relazione ‘impegnata’, ossia con coinvolgimento sentimentale e duratura nel tempo, risulta oggi essere l’ultimo passo verso la condizione adulta, dopo l’acquisizione di un lavoro e di uno spazio nel contesto sociale. Inoltre, rispetto al passato, si assiste oggi anche a un modo diverso di intendere la convivenza. Infatti, fino a qualche anno fa la convivenza era considerata una fase che precedeva il matrimonio, una sorta di prova generale che anticipava la realizzazione del rito del matrimonio, fosse esso religioso o civile. Oggi, invece, sebbene non in tutti i casi, la convivenza viene spesso avviata senza un progetto matrimoniale, senza un trasloco con tutte le proprietà ma come un’esperienza che si snoda nel tempo in maniera quasi casuale, legata al fatto che poco per volta i propri effetti personali vengono spostati nella casa del/la partner, ove si finisce con il passare più notti e giorni che a casa propria e stabilendosi definitivamente: diventa quasi una scelta inerziale che, priva di una progettualità, viene mantenuta finché non si presentano opportunità emotivamente più attivanti.

Sempre importato dal Nord Europa e dagli Stati Uniti, si sta diffondendo anche il fenomeno delle stay over relationships, letteralmente le ‘relazioni pernottamento’, caratterizzate dal fatto che i partner di una relazione pernottano insieme tre o più notti alla settimana, pur continuando a vivere in due case separate.

Le forme di relazione sinora presentate – va ribadito – non esauriscono la realtà: ci sono ancora giovani impegnati in relazioni affettive orientate alla progettualità del matrimonio. Resta, però, il fatto che queste forme relazionali ci dicono della situazione complessa e del disorientamento che vivono i giovani.

Ci dicono dell’inquietudine che vive questa generazione tra paura della solitudine e paura dell’incontro autentico con un’altra persona, tra paura di restare solo/a e paura che vengano svelate le proprie fragilità.

Tutto questo interroga la generazione adulta sulla sua capacità di offrire una bussola di orientamento capace di valorizzare i legami, rendere evidente il valore e il piacere della costruzione di un ‘noi’ nonché affermare la sacralità e il valore del corpo proprio e altrui.

Ma dovrebbe anche sollecitare la generazione adulta nel comprendere e accogliere i timori che sperimentano i Millennials e nel rendere visibile e concreta la bellezza e la forza di una relazione di coppia capace di rispondere ai bisogni più profondi dell’umano.

 

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