“Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua!’
Ecco il messaggio di don Luca per la Pentecoste che abbiamo celebrato domenica.
Grande cosa avere il linguaggio giusto. Ma la vera domanda è: noi adulti abbiamo qualcosa da dire? Qualcosa di grande, di umano. Abbiamo un’intuizione liberante da dire ai nostri ragazzi? Altrimenti perché dovrebbero starci ad ascoltare?!
Come Chiesa spesso restiamo delusi dalle nuove generazioni, sempre più estranee al nostro linguaggio. Sogniamo di avere l’idea vincente, che riesca ad imporsi alla loro attenzione, che li attiri.
Ma siamo risucchiati dall’angoscia di non riuscire a consegnare il tesoro della fede che abbiamo ricevuto…
Abbiamo forse fallito il nostro compito?
In realtà i ragazzi sono il nostro specchio, fatta salva la loro originalità. Sarà anche vero che i giovani hanno un linguaggio che non è il nostro, ma è più decisivo il fatto che sia noi che loro siamo uomini e donne assetati di cose vere. Fatti ad immagine e somiglianza di Dio. Fratelli e sorelle di Gesù di Nazareth. C’è dunque una lingua madre che ci accomuna! È il linguaggio base di ciò che è propriamente umano è che vuole essere umanizzante: nascere, morire, amare, lavorare, generare, parlare, soffrire, far festa, ricordare, sperare, pensare, gioire e poi..mangiare, respirare, avere sete, sognare…
Ecco: essere uomini e donne, questo è propriamente cristiano! San Paolo dice: questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio.
Preoccupiamoci di questo: essere vivi, tirati fuori dai tranquilli schemi mortali, chiamati e convocati dal Vangelo che parla proprio nella nostra lingua e dice che siamo della stessa carne del Figlio di Dio.