Il prossimo 30 maggio si inaugura a Casa di Marta la mostra “Giobbe, l’enigma della sofferenza”, che conclude i “Cammini di carità” proposti nei giovedì di maggio.
Anticipiamo alcuni temi della mostra: una sorta di introduzione a chi andrà a vederla.
Si parte dal libro di Giobbe, libro che pone il dolore, il dolore dell’uomo, come problema. Soprattutto per i cattolici, per noi.
I cristiani, fiduciosi e convinti che la realtà sia in ultima analisi giusta e buona, si domandano “perché si soffre? Perché il dolore ?”
E quando si tocca il fondo della disperazione, si finisce per volgersi verso e contro Dio. Tutti i grandi scrittori e filosofi si sono posti il problema. A volte facciamo come Camus “non potrò mai credere in Dio finché vedrò un bambino morire così.”
Perché le sofferenze dei piccoli, degli innocenti sono quelle che sentiamo come più ingiuste.
Si protesta, si grida a tal punto che l’eco giunga ai cieli.
L’uomo vuole una spiegazione. Altrimenti cade nell’ateismo o riduce il cristianesimo ad una sorta di dottrina della retribuzione, di un Dio che punisce. Meglio un Dio crudele che un Dio indifferente.
L’uomo cerca un perché. È la potenza della sua ragione che lo spinge. Cerca il perché delle cose.
Se pensiamo alle grandi tragedie della storia, una per tutti l’olocausto, ritorna ancora e sempre la domanda “dov’eri tu, Dio?”.
“Benedetto il Signore nei secoli…”
Perché benedirlo? Ecco allora un’intuizione, già di Voltaire:
“Ci occorre un Dio che parli all’uomo”
Ma subito un’altra domanda incalza “chi mette al mondo le gocce di rugiada ?”
(il resto nella prossima puntata)