Oggi, 8 dicembre 2021, termina l’anno che il Papa ha voluto dedicare a San Giuseppe, quale figura a cui tutta la Chiesa deve guardare. Proprio stasera alle 18.00 ci ritroviamo nella Chiesa di San Giuseppe al Matteotti per una preghiera a chiusura di questo anno.

Qui alcuni stralci dell’ultima catechesi che il Papa ha tenuto – lo scorso 24 novembre – su San Giuseppe:

“La figura di Giuseppe, non padre biologico, ma comunque padre di Gesù a pieno titolo, nonostante sia figura marginale discreta, in seconda linea, rappresenta un tassello centrale nella storia della salvezza. Se ci pensiamo anche le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono in giornali e riviste. Padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini con gesti piccoli, come affrontare una crisi, alzando gli sguardi, stimolando la preghiera.

Tutti possono trovare in san Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, della presenza discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno, una guida nei momenti di difficoltà.

Egli ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in seconda linea hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. Il mondo ha bisogno di questi uomini e di queste donne.

Nel Vangelo, Giuseppe appare come il custode di Gesù e di Maria. E per questo egli è anche il Custode della Chiesa. Questo aspetto della custodia è la grande risposta al racconto della Genesi. Quando Dio chiede conto a Caino della vita di Abele, egli risponde Son forse io il custode di mio fratello?.

Giuseppe, con la sua vita, sembra volerci dire che siamo chiamati a sentirci custodi dei nostri fratelli , custodi di chi ci è messo accanto, di chi il Signore ci affida attraverso tante circostanze della vita.

Una società come la nostra che è stata definita liquida, dirò più che liquida, gassosa, ecco questa società trova nella storia di Giuseppe un’indicazione ben precisa sull’importanza dei legami umani.

Quando il Vangelo ci racconta la genealogia di Gesù, oltre che per una ragione teologica, lo fa peer ricordare a ognuno di noi che la nostra vita è fatta di legami che ci precedono e ci accompagnano.

Il Figlio di Dio, per venire al mondo, ha scelto la via dei legami; non è sceso magicamente. Ha fatto la strada storica che facciamo tutti noi.

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Pubblichiamo qui il testamento spirituale di don Pasquale Colombo

Dopo aver vissuto tante esperienze, dopo aver fatto tanti incontri di persone, dopo aver avuto la fortuna di contemplare le meraviglie del Creato, sono curioso di iniziare l’esperienza totalmente nuova e inimmaginabile di risorto e di vita, faccia a faccia, con la Trinità Santa, con l’infinita compagnia degli angeli, dei Santi e di tutti i “residenti nella Gerusalemme celeste”.

La preghiera che inizia con “L’eterno riposo” e certe affermazioni della Liturgia dei defunti sembrano far intravedere che tutta l’esplosione della vita e la beatitudine unica che ci ha promesso Gesù siano rimandabili alla fine della storia.

Ma io spero che non sia così, ma che tutto cominci dopo il passaggio dalla vita su questa terra alla vita dei risorti.

Se mi sarà consentito farvi una “soffiata”, lo farò sapere a qualcuno.

Scorrendo, velocissimo, l’arco della mia vita su questa terra, riconosco che, come uomo, come presbitero, come fratello, come amico, avrei potuto fare di più e meglio.

Ci sono state diverse omissioni. Mi affido alla misericordia di Dio e alla bontà di quanti ho deluso, ho trascurato, o magari anche ho scandalizzato.

Chiudo la mia vita senza rancori con nessuno. Ringrazio quanti (familiari, amici, preti, fedeli) mi hanno voluto bene e mi hanno aiutato a crescere.

Mi riprometto di … non stare in ozio in Paradiso; soprattutto mi farò avvocato e intercessore per quanti meritavano più attenzione e più aiuti.

A tutti rinnovo l’esortazione che ho continuamente ripetuto: “Quello che conta è amare”.

E a tutti auguro: Arrivederci, a ritrovarci nella Gerusalemme celeste!

(don Pasquale Colombo)

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Pubblichiamo qui la 2° parte e ultima dell’omelia funebre di don Pasquale (15 giugno 2021).

Ho pensato che la Passione di Gesù per l’uomo e per ogni situazione della vita, è stata la stessa passione d’amore – la stessa carità Pastorale – che ha distinto il sacerdozio di don Pasquale.
Da Saronno a Rho e, certamente, passando dal Brollo a Solaro e ad altre esperienze da lui vissute, è unanime, parlando di lui, la parola “bontà”.

Un Pastore buono, nel senso più stretto ed Evangelico del termine. In mezzo alla gente, nello stile che ci sta indicando Papa Francesco. Lo ricordo, come fosse ieri: tra i ragazzi, con i giovani, le famiglie, gli anziani. Una presenza umanamente ricca, solare, energica, capace di relazioni fraterne, uomo dell’ascolto e del dialogo. Una umanità cordiale, aperta… anche quando predicava e celebrava aveva sempre quel sorriso sul volto…io lo ricordo, così!

Non è mio compito, né mia intenzione, fare un elenco di cose che ha fatto o di parole che ha detto, ne perderei molte e, soprattutto, perché noi siamo più delle parole dette e più delle cose fatte; io credo che il suo esserci stato, dentro a tante situazioni e realtà, è il Dono, in assoluto, più grande! Il suo sì a Cristo e alla Chiesa è stato esemplare e stimolante, per me e, credo, per molti. Un sì vissuto giorno per giorno, sfida dopo sfida, incarnato nelle scelte concrete, nei gesti, nelle parole, nel suo essere appassionato alla vita secondo il Vangelo…

Il suo sì è il sì di Maria. A lei, caro don, alla Mamma del cielo, ti affidiamo con affetto in questo giorno speciale nel quale – come Chiesa – vogliamo ringraziarti per il bene da te ricevuto e con te condiviso. Ci hai insegnato ad amare Gesù, la Chiesa e i fratelli. Cercheremo di continuare ad amare così, ad amare sempre, ad amare tutti.

Caro don, ti affidiamo alla Misericordia del Padre. La Pace sia con te e in te! Avremmo – forse per egoismo – voluto tenerti ancora con noi ma, adesso, Ti lasciamo andare, sapendo che tu ci sarai, sempre, pregherai per noi e noi con te.

L’eterna Gioia, dicevi così, sì, l’Eterna Gioia, dona a lui, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua, riposi in pace. Amen!

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Pubblichiamo qui la 1° parte dell’omelia funebre di don Pasquale (15 giugno 2021).

Anzitutto vi confesso che non avrei mai immaginato di trovarmi in questa situazione; quando mi è stato chiesto ho pensato di non essere la persona giusta. Poi ho accettato, perché, nel mio percorso vocazionale e sacerdotale don Pasquale è stato una presenza importante. Un secondo motivo per cui ho accettato di fare questa piccola riflessione è il legame con le Comunità che lui ha servito e che io ho servito e sto servendo: questa di Regina Pacis e la Comunità di San Paolo in Rho dove lui è stato Parroco dal 1975 al 1986.

Nelle Messe di saluto ai sacerdoti e ai Vescovi, la liturgia propone come letture, due brani della Passione di Luca e di Matteo. Mi sono chiesto: perché proprio la Passione? Alla fine ho capito: la Passione è la sintesi, il concentrato, di tutto il Vangelo, è il compimento di una vita che si è fatta dono fino al gesto estremo e inequivocabile. Lo “spettacolo” della Croce è il passaggio che segna in modo universale e indelebile la storia del mondo e dell’umanità. Il Calvario è il “crocevia” della Speranza.

Ho pensato che la Passione è la sintesi della vita di Gesù e, al tempo stesso, la Passione di Gesù è la sintesi e il motivo più alto e autorevole per la vita di un sacerdote, chiamato a rendere il suo umile e sincero servizio al Vangelo di Gesù: “Chi è il più grande tra voi – dice – diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve.”

E così ho pensato e capito che nella Passione di Gesù trova conferma e certezza il Ministero del Sacerdote, chiamato a spezzare il Pane della vita per diventare lui stesso pane di vita per i propri fratelli e sorelle: “Preso un calice, rese grazie e disse: Prendetelo e distribuitelo tra voi” Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me.”

Ho pensato: quante volte don Pasquale ha preso tra le sue mani questo Pane e questo Calice, quante volte ha ripetuto le parole dell’Ultima Cena, quante volte ha spezzato il pane e invitato i fratelli a “mangiare” il Corpo di Gesù? Quante volte, con il suo sorriso, ci ha fatto gustare la gioia di un incontro che ti cambia la vita? Quante volte? Tante, tantissime, infinte volte, ogni giorno! E ricordo, in modo particolare, oltre alle Messe sempre ben curate, ricordo le adorazioni del primo Venerdì a cui lui teneva veramente tanto.

Ho pensato: dove avrà trovato, questo tuo Pastore e servo fedele, la capacità e la saggezza di guardare sempre e nonostante tutto avanti? Ho trovato una risposta lì, nella Passione: “Voi siete – dice Gesù – quelli che avete perseverato con me nelle mie prove.” Ecco, la risposta, ecco dove ha trovato la saggezza: nella perseveranza. Senza perseveranza, non c’è futuro…

E da dove veniva questa perseveranza? Cosa e chi gli avrà dato la forza di rimanere fedele alla sua Vocazione, anche nei momenti più difficili, non ultimi, quelli della malattia? La risposta è chiara: nel raccoglimento interiore e nella preghiera. Martedì scorso, quando sono andato a trovarlo, insieme a don Felice, guardandoci negli occhi e congiungendo le mani, ha detto: datemi una benedizione, pregate per me. Io prego per voi. Mi sono commosso. Ho capito lì, il segreto della perseveranza: le mani giunte, la preghiera.

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Questo il titolo, tratto dal libro di Neemia (3, 38) che i vescovi italiani hanno scelto per il 1º Maggio, Festa del Lavoro.

Nel libro di Neemia si racconta l’impegno del popolo d’Israele per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme; popolo unito e caparbio nel voler terminare l’opera. Si sottolinea l’impegno di chi ce la mette tutta per far nascere qualcosa di nuovo.

I vescovi, nel messaggio, ci dicono che questo è segno di un lavoro generativo, che chiede responsabilità e capacità di uscire da se stessi per aprirsi all’altro nel segno di una vita segnata dall’amore.

A chi si mette in questa dinamica è chiesto di abitare la tensione tra la paura di perdere quello che si era o si deteneva e l’impegno verso nuovi stili di vita.

Chi ha incontrato Gesù lo sperimenta; il Signore è capace di tirare fuori dalla nostra vita “cose nuove e cose antiche”.

“È innegabile che la terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico, aggravando le disuguaglianze esistenti e creando nuove povertà.(…)

È fondamentale che tutte le reti di protezione siano attivate. Il vaccino sociale della pandemia è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi. (…) abbiamo sperimentato che siamo tutti legati e interdipendenti, chiamati a impegnarci per il bene comune, che è legato con la salvezza, con il nostro stesso destino personale.

(…) Una bussola per camminare è la Fratelli Tutti.

Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze.

Continua a leggereE al popolo stava a cuore il lavoro

Venerdì 19 marzo nel Quaresimale delle 20.30 abbiamo incontrato don Steven Azabo, in collegamento da Roma, dove sta completando gli studi universitari. Don Steven è un parroco dell’Iraq, la terra dove – proprio a inizio marzo – si è recato Papa Francesco.

Toccante la sua testimonianza; dal 2003 i cristiani in Iraq subiscono persecuzioni e più di 60 sono stati gli attentati a chiese cattoliche. Proprio nella terra dove si identifica di solito l’antica Mesopotamia, la terra di Abramo, la culla della civiltà, il “dove” da cui prese avvio l’identità umana.

Eppure, nonostante il sangue dei cristiani caduti sia più grande del petrolio che si trova in quella terra, ricorda don Steven, la fede viene fuori più limpida, luminosa, forse oserei dire più vera.

“Ci hanno tolto tutto, ma abbiamo capito che possiamo lasciare tutto; basta scegliere il più necessario per la vita”. Queste le parole di don Steven.

E allora l’augurio non è solo quello di tornare alla propria terra, ma di far proprie le parole che ha pronunciato Papa Francesco in questo suo viaggio, nella tappa alla piana di Ur dei Caldei: ” Come Abramo, bisogna alzare lo sguardo e guardare le stelle, per realizzare il sogno di un pianeta dove non trovi più spazio l’odio.”

Per chi vuole riascoltare l’intervento di don Steven, può cliccare qui.

Continua a leggere19 marzo: ancora martiri cristiani oggi

Domenica scorsa abbiamo vissuto l’appuntamento del Quaresimale dialogando ancora una volta tra laici, (Daniele e Chiara) e sacerdoti (don Federico e don Armando). Il tema era la famiglia e le relazioni vissute in questi mesi di pandemia, tra nuove vicinanze (dentro casa) e inusuali distanze (fuori casa).

Ci siamo raccontati, dentro alla normalità della vita; c’è chi ha conosciuto la paternità, e allora in questo tempo sospeso ha avuto una luce forte che ha cancellato il buio fuori, e c’è chi ha riscoperto il rapporto con i fratelli o il valore delle piccole cose.

Abbiamo imparato a fare attenzione agli spazi, dentro casa e dentro al cuore.

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Continua a leggere14 marzo: tempo di famiglia

In continuità con la domenica precedente in cui abbiamo affrontato il tema della salute, venerdì 12 marzo abbiamo ospitato, nel Quaresimale cittadino, Daniele Mencarelli, scrittore, poeta, vincitore del Premio Strega Giovani 2020.

I due romanzi che lo hanno fatto conoscere sono La casa degli sguardi e Tutto chiede salvezza, basati sulle sue vicende autobiografiche.

Ultimo uscito, per le edizioni San Paolo, La croce e la via: una Via Crucis originale e provocatoria. Egli attualizza l’immagine della Croce, affiancando al Cristo crocifisso l’Uomo di oggi.  Su tutti una domanda: come si raggiunge la salvezza?

Abbiamo ascoltato la sua testimonianza: la testimonianza di un uomo che ha visto e vissuto  il dolore nell’incontro con gli altri dentro la realtà. Ci ha ripetuto che l’uomo si salva se è disposto a camminare dentro la realtà. Altrimenti vive da addormentato.

“Non siamo fatti per vivere per sentito dire”, come ricordava Giobbe.  Tutte le rivelazioni della vita chiedono l’Incontro.

Ed è necessario fare un cammino, serve il viaggio; come Dante, nella Divina Commedia, come noi, tutti i giorni della vita, chiamati a fare un viaggio che sia un ritorno a casa, al Padre. Al bene.

Per chi vuole riascoltare, può cliccare qui.

Continua a leggere12 marzo: Mencarelli, Tutto chiede salvezza

Con una domanda un po’ provocatoria, abbiamo riflettuto, domenica 7 marzo, attorno al concetto di salute, provando a paragonare quello che ciascuno di noi ha vissuto in questi mesi con l’esperienza di due giovani donne, che per lavoro sono state in prima linea sul fronte Covid e di due sacerdoti della comunità, don Enrico e don Vincenzo, che la sofferenza dei malati di Covid l’hanno toccata con mano.

Tantissimi gli spunti emersi:

non sarà che gli uomini d’oggi hanno scambiato la salvezza con la salute e, cancellato Dio dal loro orizzonte, hanno messo la vita stessa al suo posto? Una vita da conservare ad ogni costo…

– non sarà che ci siamo dimenticati che la vita è prima di tutto un dono? che siamo amati? e che la vita ha senso se è donata?

– forse, piuttosto che aggrapparci al motto dell'”andrà tutto bene”, dovremmo riscoprire il significato di “caro cardo salutis“, la carne di Cristo è cardine della nostra salvezza.

Questo e molto altro….e per riascoltare, clicca qui.

Continua a leggere7 marzo: quando c’è la salute, c’è (davvero) tutto?

Il secondo venerdì di Quaresima, venerdì 5 marzo alle 20.30, è stato possibile grazie alla Commissione Famiglia cittadina che ha invitato al collegamento Rossella De Leonibus, psicologa e mediatrice familiare, esperta in dinamiche di coppia.

Una diversa vicinanza  – con lei collegata da Perugia dove vive e lavora – che tuttavia ci ha permesso di capire quanto sia importante nella coppia, nella famiglia (e più  in generale nel rapporto con gli altri), DIRE BENE dell’altro.

Vedere il bene dell’altro, le sua qualità positive. Maledire è solo guardare alle cose negative, che alla lunga crea nella nostra mente un’immagine sempre più negativa della persona che abbiamo accanto. Maledire appiattisce e falsa la percezione dell’altro.

Vedere solo le cose negative può portare poi a voler cambiare l’altro a tutti i costi, per conformarlo all’immagine che noi abbiamo in mente per lui/lei, quasi a volerlo riplasmare. Questo ahimè è alla luce di tante crisi nella coppia e nella famiglia.

E’ proprio il contrario di quel che si dovrebbe fare: rispettare l’altro per la persona originale che è e per il capolavoro che può diventare.

Benediciamoci e guardiamo alle cose belle che l’altro porta con sé e coltiviamole, perché la relazione fiorisca come uno splendido giardino.

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Continua a leggere5 marzo Benedirsi e benedire nella coppia