Oggi la Chiesa ricorda la Madonna di Lourdes e la Giornata mondiale del malato.

Nel messaggio del Papa per questo ricordo speciale di tutti coloro che vivono una condizione di sofferenza, e di chi se ne prende cura, emerge un elemento importante.

Anche per il malato è importante, al pari delle cure mediche, la relazione con l’altro. Un rapporto di fiducia, confidenza, empatia, che permette di parlare con verità e amore.

“La cura dei malati ha bisogno di professionalità e di tenerezza, di gesti gratuiti, immediati e semplici come la carezza, attraverso i quali si fa sentire all’altro che è ‘caro’.”

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Sta finendo il tempo dei saldi di stagione invernale. In alcune giornate di sole, sembra che la primavera voglia già farsi vedere. Un tempo per mettere via alcune cose e per riflettere …sulla cura delle cose.

“Per chi non ha solo il necessario, ma anche il superfluo – dice Fulvio Scaparro, noto psicoterapeuta dell’infanzia – c’è il rischio di crescere nell’indifferenza e nel disamore nei confronti degli oggetti (e perfino dell’ambiente); oggetti da trascurare e scartare quando non servono più, ritenendo tutto facilmente sostituibile, nella certezza di poter rimpiazzare tutto con qualcosa di più avanzato, appetibile.”

Ma i bambini, nei primissimi anni di vita, non sono così! Non concepiscono morte e scomparsa, come sapessero che nulla si crea e nulla si distrugge, ma si può trasformare.

Noi adulti allora dovremmo trasmettere e insegnare la “manutenzione d’amore”. Manutenzione sembra un termine fuori contesto, adatto più a parlare di impianti, edifici, ecc.

Nella manutenzione c’è tanto amore, c’è un senso di forte legame di affetto e di interesse, o almeno di impegno e diligenza, affinché l’oggetto, bene mantenuto, o trasformato, riciclato, riusato, duri nel tempo nelle migliori condizioni possibili.

La manutenzione d’amore è come se io dicessi all’altro: voglio che tu viva il più a lungo possibile, tu sei prezioso per me.

E la manutenzione fa bene a chi la fa, impreziosisce (con il lavoro, la cura e l’impegno) il rapporto con uomini e cose, ci assicura legami vitali.

La manutenzione dell’amore ci dà radici, toglie le nostre relazioni dalla precarietà della cronaca e le colloca in una storia che è di cura, perfezionamento, affetto.

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Domenica 3 febbraio la Chiesa celebra la Giornata della vita. Don Fabio propone una riflessione attorno ai grandi temi della vita, dell’aborto, ecc. alla luce delle ultime notizie sul fronte legislativo uscite in questi ultimi giorni.

Spegnere volontariamente la vita nel suo sbocciare è, in ogni caso, un tradimento della nostra vocazione.

Ed è anche il tradimento del patto che lega tra generazioni, quel patto che consente di guardare avanti con speranza.

Sì, dove c’è vita, c’è speranza!

Ma se la vita stessa è violata nel suo sorgere, ciò che rimane non è più l’accoglienza grata e stupita di un dono, ma un freddo calcolo di quanto si ha e di ciò di cui si può disporre. E così la vita si riduce a bene di consumo. Come è drammatica questa visione, presentata anche come un diritto umano, e quante sofferenze causa ai più deboli dei nostri fratelli! (Cfr. Papa Francesco nel messaggio per la Giornata della vita)

Ed ecco alcuni spunti da Avvenire su una realtà se non taciuta, almeno non conosciuta.

“È passata quasi sotto silenzio nei media italiani una notizia agghiacciante: l’approvazione a New York di un testo di legge che permette l’aborto oltre la 24esima settimana, senza limite alcuno di tempo. Personalmente ho fatto fatica a leggere la notizia fino in fondo, perché, da medico, (Mariolina Ceriotti Migliarese) non posso far finta di non sapere ciò che questo significa.

Ora, con questo ultimo passaggio che porta il tema dell’aborto alle sue estreme ma naturali conseguenze, il gioco è per sempre scoperto.

Povera cosa è dunque oggi più che mai un figlio: povera cosa, ridotta ad oggetto, privata di ogni identità personale e di ogni difesa. E povera cosa diventano le madri, se possono assumere nei confronti dei loro figli questo terribile diritto di vita e di morte, senza essere aiutate a capire in modo inequivocabile ciò di cui si stanno facendo protagoniste”.

“Il 31 dicembre 2018 la ministra della Salute, Giulia Grillo, in ottemperanza all’art. 16 della legge 194/1978 ha presentato l’annuale relazione, con i dati del 2017, della norma che ha legalizzato l’aborto. Secondo tale relazione, gli aborti legali sarebbero diminuiti fino alla cifra di 80.733 e la legge avrebbe funzionato perfettamente. Questo, come ha titolato ‘Avvenire’ domenica 20 gennaio 2019, è l’«aborto che si vede».

La prima domanda è: ‘È proprio vero che gli aborti sono diminuiti?’. Secondo la stessa relazione ministeriale nel 2017 state vendute 224.432 confezioni di EllaOne (pillola dei cinque giorni dopo) contenete Ulipistral acetato e 339.648 confezioni di Norlevo e Levonelle (pillola del giorno dopo) contenente il principio attivo Levonogestrel. Un grande aumento rispetto agli anni precedenti. Questi prodotti, contrabbandati come «contraccettivi di emergenza», in realtà sono idonei ad alterare la mucosa uterina in modo da respingere e quindi uccidere l’embrione già formato (come risulta dai pareri del Comitato nazionale per la Bioetica e dell’Istituto superiore di Sanità, confermati da studi internazionali)

La seconda domanda è quella più conturbante, perché mette in crisi il giudizio di un perfetto funzionamento della legge: ‘Il concepito è un essere umano?’. La risposta positiva è stata data più volte dal Comitato nazionale di Bioetica, ma anche dalla Corte costituzionale, e proprio nel momento stesso in cui ha legittimato l’aborto volontario (sentenza n. 27 del 1975) e quando nel 1997 (sentenza n. 35) ha affermato che il riconoscimento del diritto alla vita del concepito è contenuto anche nell’art. 1 della legge 194/1978. Più recentemente, nelle sentenze 229 del 2015 e 84 del 2016, la Corte ha ribadito che l’embrione umano non è una cosa; dunque è qualcuno. (Marina Casini Bandini – Presidente del Movimento per la Vita italiano)”.

E infine ancora la voce del Papa, che accenna al tema del fine vita.

“La Giornata per la vita, istituita 41 anni fa per iniziativa dei Vescovi italiani, mette in luce ogni anno il valore primario della vita umana e il dovere assoluto di difenderla, a partire dal suo concepimento fino al suo naturale spegnersi.

E su questo vorrei fare una sottolineatura.

Prendersi cura della vita esige che lo si faccia durante tutta la vita e fino alla fine. Ed esige anche che si ponga attenzione alle condizioni di vita: la salute, l’educazione, le opportunità lavorative, e così via; insomma, tutto ciò che permette a una persona di vivere in modo dignitoso. “

Continua a leggereVita e…vocazione. Non tradire la realtà

Mi chiedi solo di credere, di fidarmi di te, di non aver paura delle tempeste della vita.

Mi dici che tu ci sei…

Fidarmi di te però non è facile, non è per niente scontato.

Lo sai bene, Signore, e per questo mi sussurri: “Coraggio, sono io! Non temere. Io ci sono e ti salverò: non avere paura.”

Anche se la tua barchetta non dovesse reggere alla tempesta, se tu dovessi andare a fondo, colare a picco sommerso dalle onde della vita, io sarò con te, sempre.

Non ti lascerò mai.

Io sono lì: sul fondo più profondo del tuo mare, nell’abisso più oscuro delle tue paure, io sono proprio lì.

Fidati di me.

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Pensieri per la coppia, in vista del 27 gennaio, festa della famiglia.

La tensione rimane, non si annulla.
I limiti vanno superati, senza negarli.
Le opposizioni aiutano.
L’opposizione apre un cammino, una strada da percorrere.

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Domenica 27 gennaio è la Festa della Famiglia. Una delle grandi sfide che le famiglie affrontano ogni giorno è quella dell’educare i figli.

Siamo andati a leggere cosa ne pensa il Papa sul tema.

«L’educazione è una genuina espressione di amore sociale.

Nella missione del maestro è presente un vero paradosso: quanto più è attento al dettaglio, a ciò che è piccolo, al particolare di ogni ragazzo e al contingente del quotidiano, più il suo agire è legato alle cose grandi,  al popolo o alla nazione.

Uno degli aspetti più profondi e belli dell’educare è la testimonianza.

Questa è ciò che consacra a “maestro” l’educatore, e lo rende compagno di cammino nella ricerca della verità. Il testimone, che attraverso il suo esempio ci sfida, ci incoraggia, ci accompagna, ci lascia camminare, sbagliare, persino ripetere l’errore, per crescere” (da Educar, 2006-2012)

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Forse il più grande servizio sociale che possa essere reso da chiunque al Paese all’umanità è formarsi una famiglia” (George Bernard Shaw)

Torna domenica prossima la Festa della Famiglia. E il pensiero va a quella di Nazareth che dovrebbe essere un esempio, un modello per le nostre famiglie. 

Che sia un po’ irrealistica come proposta? Con quella famiglia così strana, diversa, unica….

E noi, con le difficoltà che abbiamo ogni giorno!

La Chiesa invece ce la propone con coraggio. E se sappiamo ascoltare con cuore aperto, scopriamo qualcosa di inatteso.

La Parola non ci giudica. La parola di Dio risana. Non ci fa credere che esiste un mito di famiglia felice e sorridente, irrorata di Spirito Santo.

È realista la Parola, anela all’impossibile, ma quello vero.

La Chiesa ci propone il modello della famiglia di Nazareth, non per imitarla nella sua straordinarietà ma nella sua ordinarietà. Non nelle relazioni orizzontali, ma in quelle verticali. Non per sentirla lontana e irraggiungibile, ma per vedere le tante somiglianze con la nostra esperienza.

In quella famiglia, in quei rapporti, c’è Dio di mezzo. 

È ciò che manca spesso nelle nostre relazioni.

Lo sguardo all’Ultimo.

Pensiamoci. Per diventare liberi di amare.

Continua a leggereFamiglia: Dio di mezzo

Ieri la Chiesa ha ricordato il Battesimo di Gesù.

Durante la S.Messa delle 10.30 don Fabio ha battezzato Asia e Leonardo, condividendo la gioia dei genitori con tutta la comunità. Si è celebrata la bellezza di questo sacramento e la fierezza dell’essere cristiani, del diventare figli di Dio.

Dal Vangelo di Luca leggiamo che “il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto.”

Anzitutto il cielo che si apre è un segno bello, un segno di speranza. Terra e cielo che si uniscono.

E poi c’e Dio che si compiace, che gioisce, per noi!

E rivolge la voce su quel figlio, per la prima volta. Gesù aveva ormai trent’anni e mai si era sentito il compiacimento di Dio. Solo quando Gesù si immerge nelle acque con tutti, umile e silenzioso, ecco che scende esplicito il gradimento di Dio. Proprio in occasione di quella immersione nell’umanità (pensate alle raffigurazioni pittoriche, dove si vede Gesù circondato da molti altri)!

I genitori scelgono il Battesimo per i figli perché vogliono per loro cieli aperti, non chiusi, l’immersione nel mondo, non la distanza, un modo di sentire mite e umile, non altezzoso.

Nella foto uno dei bambini battezzati nella S.Messa di domenica 13 gennaio.

Continua a leggereDio si compiace

Nell’udienza generale del 2 gennaio, Papa Francesco prosegue le sue catechesi concentrandosi sul ‘Padre nostro’. Il discorso può essere anche un augurio per questo nuovo anno da poco iniziato. Ecco alcuni stralci.

Nel Vangelo di Matteo il testo del Padre nostro è al centro del discorso della montagna. Significativa questa collocazione. Il ‘discorso della montagna’ è infatti l’insegnamento delle Beatitudini. Le beatitudini dicono chi può davvero dirsi felice. Beati i poveri, i miti, i misericordiosi, gli umili di cuore.

Che rivoluzione il Vangelo!

E alla base di questo sta il Padre nostro, che dice siate figli del Padre vostro che è nei cieli.

Il cristiano sa di essere peccatore come tutti. E si rivolge a Dio come un figlio a suo padre, il quale sa di quali cose ha bisogno prima ancora che gliele chieda.

Potrebbe anche essere una preghiera silenziosa il Padre nostro. In fondo basta mettersi sotto lo sguardo di Dio, ricordarsi del suo amore di Padre.

Non ha bisogno di niente il nostro Dio.

Nella preghiera chiede solo che noi teniamo aperto un canale di comunicazione con Lui per scoprirci sempre suoi figli amatissimi. E Lui ci ama tanto.

Continua a leggerePadre nostro

Ecco la testimonianza di Martina, tornata dal pellegrinaggio in Terrasanta e Giordania.

Sono partita per la Giordania e tornata a Gerusalemme; ho deciso che, nonostante impegni, università e progetti, questo fosse il modo migliore per investire la prima settimana del nuovo anno.

Partita con la mia famiglia e con tanti volti di amici conosciuti lo scorso anno in Terra Santa.

QUALCOSA IN PIU’

Ora che, tornata, è passato qualche giorno, mi accorgo che sì la dimensione dell’incontro, della novità, dell’emozione è ancora presente (e lo è stata giorno dopo giorno), ma che c’è anche qualcosa di più.

Sono partita dopo un 2018 ricco, in cui ho scavato dentro di me e ho creduto nella bellezza, nell’amore, nelle persone che avevo e ho al mio fianco.

Sono partita con la fragilità di chi ha tante domande che cercano una risposta, con l’ingenuità di chi crede ancora nelle piccole cose, con l’umiltà di chi cerca di pensare prima agli altri che a sé stessi.

E in questo viaggio, i tanti momenti di riflessione, preghiera, silenzio mi hanno permesso di verificare nel profondo la mia fede.

BENEDETTA INQUIETUDINE!

Ho capito che non è così fondamentale che la storia confermi ogni dettaglio o verifichi ogni cosa; quando si ha fede tutto acquista un senso a prescindere. Difficile spiegarlo, soprattutto a chi non ha ancora conosciuto o riconosciuto questo dono grande, ma penso abbia a che fare con quel vuoto che ogni persona ha dentro.

Credo che ognuno di noi, ad un certo punto della sua vita, abbia fatto o farà i conti con questo vuoto, questa parte di sé che sente di non riuscire a riempire, perennemente insoddisfatta.

Ecco: questa parte è possibile farla fiorire, riempirla di qualcosa che rimanga per sempre e che sia davvero forte, solo nel momento in cui si comprende che c’è un Qualcuno in cui avere fede.

UN SENSO

C’è un senso alla nostra esistenza, un senso in cui investire, credere; un senso da ricercare giorno dopo giorno, aiutato anche da gesti ripetuti, come quello di andare alla Santa Messa la domenica, da riscoprire nella profondità dell’Eucarestia.

Il pellegrinaggio mi ha fatto riflettere su quanto stia riempiendo questo vuoto e quanto questo mi faccia bene e nonostante tutte le insufficienze mi renda una persona migliore. Mi ha reso più attenta alle fragilità che ognuno di noi ha e che spesso cerchiamo di nascondere, come se le sentissimo dei difetti che ci peggiorano. Eppure è da queste che dobbiamo partire, consapevoli che quel Dio, che sul Calvario apre le braccia, ci abbraccia e le accoglie.

“Tra Terra e Cielo” (lo slogan del pellegrinaggio) è riempire le nostre piccolezze della grandezza e bellezza della fede, partendo da quelle strade in cui Gesù per primo ha dato testimonianza di luce.

Martina Ferré

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